Un inno alla Bellezza e alla Libertà

di Antonaglia Luca

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I wodaabe sono una popolazione che mi ha sempre particolarmente affascinato: il mito del nomade che, in nome della libertà, rompe ogni schema sociale proveniente dalle società sedentarie. In realtà, ad una prima lettura, dei loro usi e costumi, possono sembrare una vera e propria contraddizione vivente: si autodefiniscono il popolo dei tabù, ogni loro azione è organizzata da codici ben definiti ma, a ben guardare, molte delle loro usanze sembrano distruggere, con totale eleganza, molti dei nostri tabù e pregiudizi.

I woddabe appartengono all’etnia fulani, dalla quale vengono però discriminati, sono concentrati soprattutto nel Niger e le loro continue migrazioni li portano in altri stati come il Camerun, la Nigeria, il Ciad e la Repubblica Centroafricana: non si curano dei confini tracciati dai popoli sedentari.

Di credo islamico ma fortemente in contrasto con l’islam radicale, non rispettano diversi dei precetti che questa religione prevede. Da sempre odiano gerarchie, sultani e popoli che hanno schiavi e disprezzano la proprietà, fatta eccezione per i loro capi di bestiame: la loro è una società di uguali che ama la propria libertà.

Troppi beni materiali limiterebbero i loro spostamenti e quindi la loro indipendenza. I Wodaabe hanno un rigido codice di comportamento, il Pulaaku, che prevede di imparare e rispettare diversi obblighi morali: il riserbo, il rispetto, l’intelligenza, la pazienza, la resistenza, il senso dell’onore, la fierezza e il rispetto verso sé stessi, incluso il vantarsi e curare il proprio aspetto. Pastori e mercanti nomadi, ritengono di essere il popolo più bello del mondo; bellezza donata loro dalla divinità. Gli uomini amano truccarsi durante i rituali, portare vestiti e gioielli vistosi e mostrare i loro bianchissimi denti con sorrisi sgargianti. Tra le donne è diffusa la scarificazione sui volti: in realtà si tratta di ink rubbing (pigmenti inseriti sotto cute attraverso dei tagli). La scarificazione tra le donne, oltre ad essere un simbolo di appartenenza e protezione da spiriti malvagi, è considerata fonte di bellezza femminile: si praticano dei tagli angolati ai lati della bocca e sulle tempie, all’altezza degli occhi, in modo che lo sguardo risulti più accentuato.

Celebrano una volta all’anno, alla fine della stagione delle piogge, a settembre, una festa di 10 giorni, il Guérewol. Gli uomini, truccato il viso e posizionati in cerchio, eseguono delle danze di corteggiamento, lo Yaake. Il rituale vuole celebrare il culto della bellezza e dell’amore: trucco e vestiario sono sia per gli uomini che per le donne particolarmente vistosi. In questo particolare festival le donne decidono chi sarà il loro nuovo partner; infatti, durante questa danza o gara, anche le donne già sposate possono ammirare gli uomini e scegliere quello che troveranno più attraente. Il premio sarà una notte d’amore oppure un nuovo sodalizio matrimoniale; infatti, non esiste gelosia in questi rituali.

Si tratta di una società matrilineare dove la figura della donna è tenuta in grande considerazione e i figli appartengono al clan della madre e non a quella del padre.
Amano curare la loro estetica con vestiti sgargianti e gioielli sempre in vista e, per entrambi i sessi, c’è molta libertà sessuale: anche dopo il matrimonio possono avere rapporti con estranei purché di bell’aspetto. La bellezza fisica è così importante per loro che un marito può acconsentire che la moglie giaccia con un uomo avvenente nella speranza di ottenere un figlio bello.
Se una donna ha rapporti sessuali con uomo considerato brutto allora si ritiene che sia veramente innamorata. Inoltre, è prevista la poligamia sia per gli uomini che per le donne. Esistono due tipologie di matrimoni: il Koogal è il primo matrimonio che un Wodaabe stipula, è un sodalizio già combinato nell’ infanzia dai genitori, ha un valore più che altro economico e sociale; il Teegal al contrario è un classico matrimonio d’amore. Una persona può impegnarsi in un solo matrimonio Koogal e in svariati matrimoni Teegal.

Alcuni antropologi ritengono che questa libertà sessuale, in realtà codificata, sia funzionale a evitare conflitti tra clan, attraverso una sorta di legalizzazione dei rapporti extraconiugali. Nonostante siano solo ipotesi, una questione però sembra molto evidente e mi riferisco al fatto che la maggior parte delle popolazioni che hanno un rapporto libero con il proprio corpo, anche attraverso le modificazioni corporee, senza viverlo come un tabù o mercificandolo, tendono ad avere strutture sociali più libere e democratiche: un corpo individuale libero di esprimersi è un corpo collettivo altrettanto libero.

Bellezza, forza, libertà e fierezza caratterizzano particolarmente questo popolo. Un proverbio wodaabe dice:

”La dignità è come l’olio, una volta che l’hai versato non lo puoi più recuperare.