Storie che si possono dipingere con le parole

di Antonaglia Luca

fakir

Ci sono storie talmente affascinanti che ci trasportano nel mondo della magia. Non parliamo della magia della bacchetta o dei poteri soprannaturali ma di quella rappresentata dal senso poetico dell’esistenza a cui, avvolte, non è necessario dare una spiegazione razionale che ne offuscherebbe la poesia.

Questo ciclo continuo di nascita-morte-rinascita, essenza eterna della vita, può essere visibile semplicemente osservando la natura; le foglie di un albero, in primavera, sono fragili e di un verde tenue per poi diventare forti e di un colore intenso in estate; imbruniscono con l’autunno, per morire e cadere in inverno ma poeticamente ritornano fresche e vive in primavera.

Un ritorno ciclico visibile anche nella cultura umana: la storia dell’o-kee-pa è un ottimo esempio per dipingere con le parole tutto ciò. George Catlin, un pittore statunitense (1796-1872), fu il primo occidentale, nelle sue esplorazioni, ad assistere, descrivere e dipingere rituali dei nativi, tra cui l’o-kee-pa.

Diverse informazioni che abbiamo, prima che i mandan fossero drammaticamente sterminati dai coloni europei, le dobbiamo a lui. I mandan vivevano in quelli che attualmente sono i territori del North Dakota, negli attuali Stati Uniti d’ America. Era sia un rito di iniziazione per i giovani uomini, nel passaggio alla vita adulta, sia una pratica reiterata per uno sciamano in cerca di visione; dopo un digiuno di 4 giorni, mentre fuori i membri della tribù, vestiti con pelli di bufalo, eseguivano la Bull Dance, gli iniziati venivano sospesi sotto la guida di un uomo più anziano (Ka-See-Ka). Veniva inserito nei pettorali degli iniziati, trafitti con una lama o con degli artigli di aquila, un ossicino di bufalo che, legato con delle corde, rendeva possibile sospenderli dal tetto della loggia delle medicine. La leggenda mandan dice che la pratica fu data loro da un uomo bianco che scese da una montagna nei tempi antichi. Gli iniziati dovevano rimanere sospesi il più a lungo possibile, con i pesi attaccati ai piedi, fino a svenire e unirsi al grande spirito che avrebbe dato loro la forza di alzarsi e, in seguito, affrontare un viaggio al di fuori dei loro corpi. Con la scomparsa dei mandan morì anche questo rituale.

Nel 1962, a trentadue anni, Fakir, durante un viaggio in Giappone, trovò un libro a quell’  epoca già raro, il volume originale di George Catlins:  ” O-KEE-PA, una cerimonia religiosa dei mandan”.

“Le mie possibilità di trovare questa rarità erano una su un milione. Quel giorno sembra che una forza più grande di me mi abbia indirizzato verso la mia strada… Il mio percorso verso la luce bianca del Mandan!”

così ci racconta lo stesso Fakir. Nel libro c’erano descrizioni e disegni, grezzi ma precisi, sulla dinamica della cerimonia. Non c’erano persone che potessero introdurlo a questo rituale, neanche i nativi da lui stesso conosciuti; il suo destino lo portò a questo libro che divenne la sua guida per riprodurre questa antica cerimonia. Nel luglio 1963 nella soffitta di una piccola casa a Palo Alto, in California, cercò di replicare questo rituale e effettuò il suo primo tentativo. Non si sentiva pronto a perforarsi nello stile dei Mandan, attraverso incisioni profonde nel petto, così effettuò dei fori nell’ area mammaria: ci vollero diverse ore per eseguire entrambi i piercing; entrò in una trance leggera, la sensazione del piercing era intensa ma sopportabile.  Usò delle fascette autoprodotte per tenere in tensione la pelle forata, l’esperienza fu intensa ma sentiva di poter andare oltre: era riuscito a rimanere sospeso solo per pochi minuti. In o-kee-pa si può rimanere sospesi per circa venti minuti, dopo di che, si inizia a entrare in uno stato di soffocamento e si può morire rapidamente, così narra Fakir.

Desiderava disperatamente un Ka-See-Ka, qualcuno che lo aiutasse e lo proteggesse in modo da lasciarsi andare completamente e non essere responsabile di nulla, inclusa la sua vita. Trovò nel 1965 in Davy Jones, un tatuatore che gli tatuò schiena e fianchi, la figura che cercava ma dovette aspettare prima di eseguire nuovamente un o-kee-pa; in quel periodo era sposato con una donna che lo ostacolava nella sua ricerca spirituale e nelle sue performance rituali.

Nel 1967 insieme a Davy, il suo Ka-kee-Ka, il miracolo accadde; Fakir riesce nel suo intento e così risorge un antico rituale che sembrava morto o comunque del tutto celato alla cultura occidentale. Da quel momento inizia una nuova storia per l’ o-kee-pa. Una piccola speranza, nella narrazione di questa storia, è che ci renda più sensibili ai diritti negati ai popoli tribali e affascinati dalla magia della loro cultura.

“In un modo calmo e deliberato mi sono bucato il petto per la terza volta. L’energia di Davy e del suo amico che guardava era di sostegno e di conforto… Non c’era dolore reale questa volta; il mio corpo desiderava la penetrazione. La carne sembrava separarsi da sola…. Ho sentito una pressione crescente nel mio petto. Una sensazione meravigliosa mi travolse. Mi sono rilassato… Per molto tempo sono rimasto immobile nel silenzio e nell’oscurità. La mia mente stava lasciandosi andare. La mia attenzione si concentrò sui sentimenti e sulle sensazioni. Il fuoco è entrato nel mio centro del cuore mentre lasciavo cadere il peso del corpo sui fori. Ho faticato a respirare. Ma presto mi sono rilassato in una respirazione lenta e confortevole… Ho iniziato ad allontanarmi. Ero un piccolo grumo di coscienza ora, stavo solo osservando le sensazioni del corpo… Stavo fluttuando in un vasto mare di vibrazioni e colori vibranti. Non curante senza identità, senza ricordi, senza corpo…”

La storia continua.