Mutilazioni genitali femminili

di Antonaglia Luca

mutilazioni-genitali-femminili

Analisi critica storico-sociale delle mutilazioni genitali femminili

Sabato 6 Febbraio è stata la giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF): una pratica che lede l’integrità fisica e la dignità delle donne. La mattina di sabato ho ricevuto una chiamata dal mio amico Erenio che, con molta urgenza, mi ha ricordato questo evento:” Luca dobbiamo assolutamente, come associazione piercer (aipp), scrivere qualcosa al riguardo”. Erenio ha assolutamente ragione per vari motivi. Come individuo e come associazione, che nel suo codice etico sostiene, contemporaneamente, i diritti universali dell’essere umano e la salvaguardia delle culture “native” (tradizionali e tribali), sentiamo l’esigenza di fare chiarezza su una questione così delicata. Se la condanna a questa pratica è del tutto scontata, la condanna tout court alle culture tradizionali che la praticano è un errore in cui è necessario non cadere per evitare, certamente non per un falso sentimento buonista, di reiterare all’infinito quel detestabile e pericoloso senso di superiorità etnocentrico e colonialista del cosiddetto mondo occidentale.

Comprendere, per poter agire e combattere contro questa atrocità che sono le (MGF), è fondamentale per non incorrere nel rischio che queste comunità si chiudano maggiormente al loro interno e, quindi, ottenere risultati opposti a quello che cerchiamo e, soprattutto, perché dobbiamo capire che le mostruosità che vediamo nelle culture “altre”, spesso, sono presenti anche nella nostra.
La sigla Mutilazioni Genitali Femminili, introdotta da gruppi di attiviste femministe, per contrastare la eufemistica dicitura circoncisione femminile, fu adottata ufficialmente dal Comitato Inter-Africano tenuto in Etiopia ad Addis Abeba; in seguito, nel 1991, l’OMS (organizzazione Mondiale della Sanità) ha raccomandato all’ONU di utilizzare questa terminologia nell’indicare tutte quelle pratiche di rimozione, parziale o totale, dei genitali femminili e di altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, che ledono la salute e l’integrità delle donne e delle bambine.

Secondo l’OMS si possono distinguere 4 tipi principali di MGF:

  • Clitoridectomia, tradizionalmente definita Sunna, che consiste nel recidere il prepuzio o nell’asportazione parziale o totale della clitoride
  • Escissione: asportazione del prepuzio, della clitoride e di parte o di tutte le piccole labbra.
  • Infibulazione che, oltre alla escissione del prepuzio, della clitoride, delle piccole e grandi labbra, consiste nella ricucitura dell’apertura vaginale ridotta a un piccolo pertugio per consentire la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. Include tutta una serie di manipolazioni della vagina che variano da un’etnia a un’altra.

Sono tutti interventi che, generalmente, vengono effettuati, da praticanti tradizionali, senza anestesia e che comportano un tasso rilevante di mortalità, di complicazioni sanitarie e disturbi psicologici. Diversi studi farebbero risalire le origini delle MGF all’antica Roma: venivano praticate alle schiave per impedire loro di avere rapporti sessuali. Il centro di diffusione maggiore, di questa pratica, sembra che sia stato l’Egitto faraonico. Al contrario, di quello che comunamente si pensa, le MGF non sono state introdotte dall’Islam; infatti, tra i Masai, in maggioranza di credo cristiano, sono ancora eseguite nei riti tradizionali di passaggio. Per fortuna, lotte interne a questa popolazione, in questi ultimi anni, hanno portato a una discreta diminuzione di questo rituale. La realtà è che questa pratica, radicata all’interno di comunità locali africane, si è poi adattata alle religioni, cristianesimo e islam, che si sono, in seguito, diffuse all’interno di questo continente. Oltre a comprendere le dinamiche storiche, è necessario analizzare i contesti contemporanei, nei processi di trasformazione culturale, nei vari contesti sociali. Infatti, nonostante siano, delle pratiche maggiormente diffuse in alcune popolazioni africane, attraverso i flussi migratori, si sono poi espanse anche negli altri continenti.

Secondo una stima dell’Oms, circa 100-140 milioni di donne e bambine in tutto il mondo hanno subito una forma di mutilazione dei genitali e 2 milioni di bambine rischiano di subirla ogni anno, nonostante siano illegali in quasi tutti i paesi in cui vengono praticate. Chiaramente è nei contesti più tradizionali di questi paesi che sono maggiormente diffuse. Le conseguenze fisiche immediate possono essere: decesso dovuto a shock neurogeno e setticemia; ritenzione urinaria e disuria; danni ai tessuti circostanti; sepsi; deiscenza delle suture; infezione da HIV. A breve termine si può riscontrare: forte dolore, lesione adiacente l’uretra della vagina, del perineo e del retto, emorragia, tetano, rottura dell’utero, vulvovaginiti, cisti, cheloidi, fratture varie, neurinomi e diverse altre complicazioni. A lungo termine le conseguenze possono essere molteplici: dispareunia, dismenorrea, disuria e stranguria, incontinenza urinaria, calcolosi vaginale, flogosi pelviche, iperestesia genitale e sterilità. A tutto questo devono essere aggiunte le disfunzioni sessuali, soprattutto per quanto riguarda l’infibulazione, considerando che, in questi casi, i rapporti sono molto dolorosi e l’escissione del clitoride porta a una ridotta sensibilità sessuale. Il clitoride rappresenta la chiave del normale funzionamento e dello sviluppo mentale e fisico della sessualità femminile. Infatti, molte donne che sono state sottoposte a mutilazione genitale presentano: frigidità, mancanza di orgasmo, difficoltà coitale fino alla totale incapacità di avere rapporti vaginali. Tra le conseguenze psichiche si possono rilevare: disturbi comportamentali, forte stress post traumatico, malattie psicosomatiche, ansia, incubi, depressione, psicosi, neurosi, suicidi (dovuti spesso all’abbandono del coniuge per le conseguenze fisiche procurate dalle MGF). Inoltre, va ricordato che nelle comunità dove vige questa pratica, le bambine e le donne che non sono mutilate, possono essere ostracizzate: questo è uno dei motivi per cui, di frequente, sono le bambine stesse a volersi sottoporre a questa pratica.

Mutilazioni genitali femminili e oppressione dell’universo maschile su quello femminile

La letteratura antropologica ci dice che riti iniziatici, attraverso le modificazioni corporee, hanno da sempre accompagnato le diverse società umane: circoncisione, escissione, tatuaggio, limatura dei denti, amputazione di arti, piercing, scarificazioni e altre tipologie di alterazioni contemporanee. Tendenzialmente, però, si tende a ritenere che esista una sostanziale differenza tra le modificazioni attuate nelle società arcaiche/tradizionali e quelle moderne/contemporanee; una differenza che ci rimanda al contrasto, di natura tonniesiana, tra comunitarismo e individualismo.

L’antropologo Le Breton sostiene che nelle società tradizionali, a differenza dei contesti contemporanei, il corpo, nei rituali, non appartiene all’individuo stesso ma al corpo collettivo comunitario: la metamorfosi fisica, attuata nella cerimonia, accompagna quella morale richiesta dalla comunità. Bourdie spiega come il rituale è necessario per costruire il genere e separare in modo definitivo il maschile dal femminile: il corpo e il genere non sono, dunque, un prodotto semplicemente naturale ma, al contrario, sono frutto di una costruzione sociale.

Somaliland-FGM-1

Ciò che il rito istituzionalizza non è solo il genere ma anche il ruolo all’interno della struttura sociale. Senza cercare giustificazioni è esattamente in queta ottica che vanno inquadrate le mutilazioni genitali femminili (MGF). Per potere contrastare in modo adeguato questa pratica, senza condannare totalmente le popolazioni in cui vengono praticate, è necessario comprenderne l’apparato simbolico e il codice culturale. All’interno di queste società le MGF hanno il ruolo di fissare, una volta per tutte, l’identità sessuale. Parafrasando Marcel Mauss, le MGF vanno considerate un fatto sociale totale; questo perché, non si trasforma semplicemente il corpo della donna ma lo si colloca entro un ruolo e una condizione prestabilita: il segno sul corpo entra nella carne come nello spirito, portando, l’iniziato, a una trasformazione completa che lo guiderà nell’intero arco della vita. Questa investitura identitaria, che da senso all’agire sociale degli attori, all’interno della propria comunità, è oggi ancora talmente forte che queste pratiche continuano ad essere attuate nonostante, nella maggior parte dei paesi africani, siano sanzionate penalmente: è fondamentale comprendere l’importanza che rivestono all’interno di queste comunità, altrimenti, ogni intervento per porvi fine sarà destinato a fallire. Infatti, la questione si complica notevolmente, dal momento che, spesso, sono le stesse bambine a volersi sottoporre a questi interventi, sia nei contesti sociali di riferimento che nelle comunità migranti inserite nei diversi paesi di accoglienza. Inoltre, mentre nelle società moderne, di matrice individualista, il genere è soggetto a continue rinegoziazioni, nelle società tradizionali il genere è più rigido e soggetto a cambiamenti più lenti. Per cui, anche se queste stesse comunità sono esposte a enormi cambiamenti strutturali, dovuti sia dai processi innescati dalla globalizzazione che dai flussi migratori, alcune di queste si irrigidiscono e, per paura di perdere la propria identità, tendono ad arroccarsi maggiormente nell’ apparato simbolico tradizionale di riferimento. C’è infatti una forte pressione sociale da parte della comunità e della famiglia; il prezzo da pagare per chi rifiuta questo segno identitario, questa decostruzione-costruzione, corporale e psichica, è senza dubbio l’esclusione e l’emarginazione. Ritengono che la donna escissa sia impura perché esposta a promiscuità, gettando, così, vergogna su tutta la famiglia.

Dunque, le MGF sono il prezzo da pagare per ottenere un buon matrimonio: il costo della sposa è la sua purezza, in cambio del quale, il futuro marito, verserà un compenso alla famiglia. Nonostante sia necessario un lavoro più ampio, per analizzare le MGF, è innegabile che siano inserite nella separazione e subordinazione della donna al mondo maschile: è quindi da una forma di dominio e oppressione dell’universo maschile su quello femminile che bisogna partire per allargare la nostra comprensione, qualcosa che, in realtà, in modo sicuramente meno evidente, è comunque presente nella nostra stessa cultura. Ecco perché, per comprendere meglio questa tradizione di origine arcaica, è necessario uscire dalle dicotomie, proposte inizialmente (comunitarismo/individualismo – tradizione/modernità) e, soprattutto, dal mito dell’organicismo e quindi di immaginarie comunità coese e prive di conflittualità interna. Le odierne MGF sono, in realtà, frutto di tradizioni reinventate e di rinegoziazioni conflittuali, attuate dagli stessi membri delle varie comunità anche nel rapporto con le altre; non possiamo considerare gli altri sistemi socio-culturali come contesti separati dove nulla cambia. Per questo è necessario capire se un processo di cambiamento interno, senza coercitive ingerenze esterne, è possibile. Inoltre, se guardiamo a noi stessi, potremmo accorgerci che, ciò che deploriamo nelle culture altre, può essere presente nella nostra. Come dovremmo considerare, altrimenti, le dolorose e complicate operazioni chirurgiche e le invasive cure ormonali che, nella nostra stessa società, vengono effettuate su bambini piccoli, solo perché nati con organi genitali non ben definiti? Persone i cui cromosomi non corrispondono esattamente al maschile xy o al femminile xx vengono, ancora oggi, in una miope visione dicotomica, costrette a cambiare la loro sessualità per appartenere a uno dei due generi: questo viene effettuato con un pregiudizio del tutto maschilista. Infatti, la scelta, a prescindere dal loro reale patrimonio cromosomico, ricadrà sulla possibilità di avere un pene funzionante. Persone con patrimoni cromosomici maschili vengono cresciute, con operazioni e cure ormonali, fin da piccole, come donne e il contrario nel caso di bambine con organi genitali simili a quelli maschili, e tutto questo, semplicemente, in vista di un pene potenzialmente funzionante o meno. Allo stesso tempo a persone con cromosomi non ben definiti si impedisce di vivere liberamente la propria natura, costringendole entro schemi prestabiliti e imposti: la società, in questi casi, si impone sull’individuo, in un processo coercitivo di normalizzazione, creando, senza troppo rammarico, delle vere e proprie crisi di identità, che accompagneranno per tutta la vita, le persone interessate. Nella lotta alle MGF dobbiamo porci interrogativi e dubbi che potrebbero riguardare noi stessi. Le MGF sono sicuramente un’atrocità che va combattuta ma è una lotta che va inserita nel contrasto a un paradigma che guida il dominio dispotico della società sull’integrità dell’individuo e che è presente in ogni cultura. In questo specifico caso, l’oppressione del maschile sul femminile. È necessario lavorare, senza imporre i propri valori, in un processo di accompagnamento, nelle conflittualità già presenti nelle varie comunità umane. Qualcosa del genere, nel caso delle MGF, è stato già attuato: ad esempio, tra i Masai, in Africa, sono stati ottenuti, seguendo questa logica, notevoli risultati; sono infatti le donne stesse, soprattutto tra le nuove generazioni, che ora stanno lottando contro questa tradizione.