La scarificazione

di Antonaglia Luca

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La scarificazione a differenza dei piercing e dei tatuaggi è una forma di modificazione non del tutto commercializzata ma è ancora legata, oltre i contesti tribali tradizionali, a realtà contro-culturali. Il suo impatto visivo, nell’immaginario sociale simbolico e collettivo, rimane ancora scioccante: il taglio della pelle, il rosso fluire del sangue, la cicatrice, generano paure ataviche legate a una forma di dolore socialmente non accettabile.

Eppure, nonostante tutto questo, la scarificazione, nel contesto contemporaneo sta vivendo una nuova primavera.

La forza visiva della scar ha un impatto comunicativo che spezza molte dicotomie e questo la rende artisticamente, culturalmente e politicamente un mezzo molto potente e antagonista che destabilizza le semantiche socialmente confortevoli. Nascono sempre più artisti nella body art che affrontano questa arte con sempre maggiore preparazione e lavori sempre più complessi, sia da un punto di vista tecnico che artistico: è inoltre evidente un recupero del gusto artistico primitivo con lavori di scar che si richiamano esplicitamente a stili tribali o ad epoche antiche come quella neolitica.

Oltre alla body art la scarificazione si sta affacciando, attraverso le opere di Jorit, alla street art: lavori enormi, con volti scarificati di donne e uomini che hanno lasciato un segno nella storia umana, coprono intere facciate di palazzi di importanti città mondiali. Lo stesso Jorit parlerà, rispetto alle sue opere e del loro significato, di Human Tribe e così, da rito legato alla piccola tribù locale, si passa all’ intera tribù umana.

La scar ha un impatto comunicativo molto potente e l’impatto del simbolismo ha il potere di conquistare il nostro immaginario, soprattutto se riguarda i nostri corpi. Per questo esiste un caso molto interessante e poco conosciuto, rispetto alle scarificazioni, che ha catturato la mia attenzione; sto parlando di quello dei migranti di Calais.

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Diverse migliaia di persone (tra le 6000 e le 7000), rifugiati e migranti irregolari, crearono un campo abusivo a Calais in Francia, con l’obiettivo di raggiungere, attraverso il canale della Manica, la Gran Bretagna. Il campo fu sgomberato nel 2016 dalle autorità francesi e nel 2017 Human Right Whatch pubblica una relazione dove sono documentati, da parte delle autorità francesi, molteplici abusi dei diritti umani sui migranti, sia adulti che bambini.

Tra le diverse forme di protesta, per le condizioni di assoluta indigenza e mancanza di diritti, alcuni di questi migranti iniziarono, spontaneamente, a eseguire un rito di scarificazione dei polpastrelli delle proprie mani, con dei rasoi o viti arroventate con il fuoco, affinché non fosse possibile prendere le impronte digitali e risalire alla loro identità e quindi schedatura.  Sottrarre la propria pelle per sottrarsi a dispositivi di controllo del governo.

Questo gesto inizialmente individuale si trasformerà in un rito collettivo, attuando un nuovo processo identitario che viaggia su un doppio binario: da una parte la rivendicazione della propria identità africana e quindi di tradizioni perse, dall’altra una nuova identità di gruppo, accumunata da uno stesso destino, da condividere con altre persone di origini differenti.

Il rito, attraverso l’eliminazione delle impronte digitali, cancella la precedente identità e ne crea una nuova simboleggiata dalla scarificazione sulle dita. Da rito tribale a rito universale (Human Tribe). Una nuova identità sociale oltre l’identificazione etnica che accumuna persone di provenienza diverse: il clandestino, il migrante. Così come in passato il tatuaggio, per celti e amazigh, divenne un simbolo di libertà e di lotta contro l’oppressione imperialista dei loro nemici e come il piercing fu un gesto di rivolta contro la morale borghese per i punk, allo stesso modo, la scarificazione, attraverso la sua primitiva simbologia, si trasforma in un gesto moderno per denunciare la mancanza del riconoscimento dei diritti umani; un gesto di libertà per dichiarare l’uguaglianza di tutti gli esseri umani.